Cosa avviene quando si soffre di attacchi di panico?
“Ho sentito un malessere ingestibile, mi mancava l’aria. Avevo la sensazione che il corpo non fosse quasi più mio, che reagisse in modo inconsueto, non più controllabile. Mi hanno portato al pronto soccorso. Piano piano mi è passato. Mi hanno fatto tutti i controlli medici necessari e mi hanno detto che non era niente. Ma vivo nel terrore costante che mi riaccada di nuovo. Da quel momento la mia vita è cambiata, non sono più stato lo stesso.”
In alcuni casi gli attacchi di panico insorgono in modo improvviso, a ciel sereno, in altri casi all’interno di un contesto di aspettativa ansiosa. La durata della crisi è breve, da pochi secondi fino al massimo un ora. La persona si trova a vivere un penoso senso di impotenza, di mancanza di controllo, di paura, di minaccia per la propria integrità fisica o psichica.
L’attacco di panico è uno stato mentale di ansia acuta, parossistica, di intenso timore che appare ingestibile e che fa sentire emozioni e sensazioni fisiche di intensa paura e vulnerabilità. Uno stato mentale di ansia così acuta che influenza le risposte fisiologiche neurovegetative (palpitazioni, vertigini, sudorazione, ecc.) ed emotive creando un “circolo vizioso” che rafforza sempre più la convinzione che qualcosa di terribile potrebbe realmente accadere.
Dopo il primo attacco di panico si fa largo l’idea che si ripeterà ineluttabilmente. Emerge una forte pre-occupazione, una ansia anticipatoria nel timore che si ripresenti. Uno stato persistente di allerta e di minaccia della propria integrità, sia fisica che psichica che può via via pervadere l’intera vita della persona. La persona diviene sempre più ansiosa, timorosa e in uno stato di continua apprensione ed evitamento. Si sviluppa la “paura di avere paura” e quindi si evitano sempre più luoghi e situazioni sperando di poter così “controllare” l’insorgenza di nuovi attacchi di panico. Inizia un circolo vizioso in cui questo atteggiamento mentale e comportamentale di “evitamento e tentato controllo” intensifica via via la paura e questa a sua volta questo atteggiamento. Tanto da diventare così pervasivo e rendere la persona incapace di uscire di casa o di allontanarsi se non in compagnia di una persona rassicurante.
Un primo intervento da cui si può partire per aiutare chi soffre di attacchi di panico può essere di tipo “psico-educazionale”. Cioè aiutare la persona a prendere più coscienza di ciò che succede durante un attacco di panico per arrivare a “comprendere” e “gestire meglio” i sintomi. In primis infatti occorre che la persona prenda davvero coscienza che si tratta di una sintomatologia da disturbo di panico e non di un problema organico; come comunque già accertato dagli esami medici fatti fino a quel momento.
La sintomatologia degli attacchi di panico è ben identificata e conosciuta in ambito clinico ed esistono molte possibilità psicoterapeutiche efficaci.
Durante il primo intervento psicoeducativo si aiuta quindi la persona a “riorganizzarsi cognitivamente” rispetto ai sintomi e al proprio disagi: a livello di consapevolezza e di atteggiamento. Assicurandosi che la persona arrivi a comprendere a pieno in cosa consiste il disturbo di panico e cosa succede “dentro di sè” a livello psico-emozionale-corporeo. E ciò consenta alla persona di sperimentarsi in una modalità diversa di gestione delle dinamiche interne.
In casi di sintomi molto acuti, per “contenerli” può essere necessario ricorrere all’utilizzo di psicofarmaci. Spesso le persone riferiscono che sapere di avere a disposizione un farmaco da prendere all’occorrenza è un qualcosa che aiuta a tranquillizzarle e già di per sé riduce l’insorgenza del malessere.
Va però sottolineato che tendenzialmente i sintomi sono espressione di un malessere interiore, ad esempio di un conflitto interiore. E se i sintomi non sono così gravi da richiedere un intervento farmacologico urgente per contenerli, può essere buona “utilizzare i sintomi stessi” partendo da questi per esplorare e comprendere insieme alla persona quali sono i disagi psicoemozionali alla base di questi sintomi. Esplorarli e imparare a comprendere e gestire diversamente le dinamiche interne in modo da “sbloccare” ciò che sta succedendo e tornare a “fluire”. In questo modo, esplorando insieme la radice del malessere si può arrivare a “sciogliere” e risolvere la situazione di disagio. Anzichè concentrarsi solo sul contenere parzialmente i sintomi. Per fare ciò è necessario un percorso psicoterapeutico che permetta una “rielaborazione psico-emozionale” di ciò che è avvenuto e sta avvenendo.
La persona che soffre di attacchi di panico spesso presenta un atteggiamento piuttosto rigido relativamente all’idea di “dover/voler avere il controllo” sulle proprie emozioni, sulle manifestazioni del proprio organismo, sui sintomi corporei.
E’ importante invece far comprendere alla persona che nei momenti in cui la propria attenzione è in uno stato mentale in cui ci sono pensieri spiacevoli è del tutto “nella norma”, “naturale”, e quindi inevitabile, sentire sensazioni emozionali e corporee spiacevoli. Ciò avviene grazie alla “naturale” e “utilissima” funzione del cervello che permette di immaginare ed immedesimarsi; la utilizziamo quotidianamente per mille scopi e per mille utilità, senza averne spesso piena consapevolezza. Il “sentire” queste “sensazioni” non può essere “controllato” solo perché ci si è messi in testa di “doverlo/volerlo fare”. Non è possibile. E se si persiste in un atteggiamento mentale di controllo che va appunto “contro natura” inevitabilmente si va contro a vissuti psicologici (e di conseguenza emozionali) spiacevoli, di fallimento, relativamente alla propria modalità e innescherà ancora più sensazioni spiacevoli di disorientamento, paura, terrore, impotenza, delusione.
Attraverso delle utili tecniche la persona può imparare a “gestire” le dinamiche interne, che sono alla base dei sintomi. In tal modo può anche recuperare un pò di quella “sensazione di controllo” che va tanto cercando.
Sarebbe più corretto dire che queste tecniche portano ad un “miglioramento dell’atteggiamento” della persona che consente “un miglior rapporto” tra le dinamiche interne psico-emozionali e corporee. E quindi minori sintomi.
Tecniche come “la respir-azione diaframmatica” spesso utilizzata in combinazione con “la tecnica della concentr-azione” sono utili alla persona per apprendere come “saper essere più al comando della propria attenzione”e come saper essere “più presente nel qui e ora”. E quindi essere meno “risucchiati” nella spirale del proprio mentale e dei propri pensieri spiacevoli che in questo momento mi stanno ulteriormente complicando le cose e il mio vissuto. Queste tecniche e modalità di atteggiamento sono alla base della famosa tecnica di “presenza e consapevolezza” conosciuta come mindfulness. (link alla pagina “Mindfullness, Concentrazione, Respirazione diaframmatica nei casi di Ansia Depressione Panico”)
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